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Misteri e tanti segni di speranza a 20 anni dall'eccidio dei volontari

23 May 2013

LA STORIA IL 29 MAGGIO DEL 1993 L'ESECUZIONE A GORNIJ VAKUF DEI TRE COOPERANTI PARTITI DA BRESCIA

L'eredità Sono nate associazioni che portano il nome delle vittime e proseguono la loro opera a favore delle zone della ex Jugoslavia colpite dalla guerraInterrogativi senza risposta sul blitz, catena di aiuti alla Bosnia

È il 29 maggio del 1993. Pomeriggio inoltrato. Un convoglio viaggia lungo la «Strada dei Diamanti» con destinazione Zavidovici, un paese di quasi 40 mila abitanti in Bosnia-Erzegovina. Sulle fiancate dei due automezzi svettano i simboli della Croce Rossa. A bordo ci sono cinque pacifisti: i bresciani Sergio Lana, Agostino Zanotti e Cristian Penocchio, l'italo-argentino Guido Puletti (bresciano d'adozione) e il cremonese Fabio Moreni. Vogliono raggiungere Zavidovici per fornire aiuti umanitari e condurre al sicuro, in Italia, 67 vedove di guerra con i loro bambini. La richiesta di aiuto è stata fatta dal sindaco di Zavidovici in persona ed è giunta sino a Brescia.Poco più di un anno prima la Bosnia-Erzegovina si è proclamata indipendente con un referendum e ora, nel nuovo Paese sorto dalla dissoluzione della Jugoslavia, imperversa un conflitto atroce: ai cinque volontari interessa portare soccorso alle vittime dell'assurdità della guerra. E la «Strada dei Diamanti», un corridoio umanitario tra Spalato e Tuzla istituito e impiegato dalle forze ONU, è la via più sicura per muoversi.Il convoglio viene fermato presso Gornji Vakuf da una banda di soldati irregolari, capeggiati da Hanefija Prijic, noto ai più come Paraga. I volontari vengono fatti scendere. Non c'è fretta però: i soldati e il comandante sembrano avere bisogno di tempo per consultarsi sul come procedere.D'improvviso, la situazione diviene chiara: il commando ha scelto per loro la morte. Puletti erompe in un grido spontaneo e lacerante verso i propri assassini: «Perché?». In risposta ottiene solo le regole di un gioco macabro: i cinque vengono derubati e condotti nei pressi di un bosco, lasciati fuggire tra gli alberi e presi a fucilate come fosse una gara di tiro a segno. Cristian si getta in un cespuglio e assiste in diretta alla morte di Fabio, Guido e Sergio. Forse lo credono morto e si salva. Agostino cade in un torrente e viene trasportato via dalla corrente. Anche lui si salva. Vagheranno per due giorni tra i boschi, prima di ritrovarsi a Bugojno, soccorsi dai Caschi Blu scozzesi.E il nostro racconto si conclude qui. Perché soffermarsi sui dettagli di quella lucida follia sarebbe più un cedere alla tentazione dell'orrore che non un commemorare Sergio, Guido e Fabio a vent'anni dalla loro scomparsa.«Quel dramma fece nascere in me un desiderio profondo di giustizia e verità» spiega oggi il sopravvissuto Agostino Zanotti, che da allora sino ad oggi mai si è arreso alla vendetta. Al suo fianco, ha avuto la presenza costante della famiglia di Guido, il quale, da giovane studente e sindacalista, era stato un «desaparecido» in Argentina durante la dittatura di Videla.Anche Cristian Penocchio, che vide ammazzare in diretta i propri amici, non ha mancato di dare il proprio contributo, trovando sempre la forza di ritornare a Gornji Vakuf, sul luogo dell'uccisione, per aiutare le indagini.Le famiglie di Fabio Moreni e Sergio Lana imboccarono invece una strada diversa. «Del dolore che abbiamo provato e continuiamo a provare non parliamone più ? dice oggi il padre di Sergio, Augusto Lana ?. Siamo credenti e il supporto e le gratificazioni che ci sono stati dati in questi anni, dal Papa in giù, ci hanno aiutato a mitigare il dolore e a dare un senso profondo alla morte di nostro figlio: come il seme che muore e dà frutto, quel fatto drammatico ha dato vita a cose grandi». Augusto Lana fa in particolare riferimento alla costituzione del «Gruppo 29 maggio Fabio-Sergio-Guido» di Ghedi, e alla costellazione di realtà di solidarietà sorte attorno ad esso negli anni a venire: a Brescia, le cooperative «Il Gelso» e «Sergio Lana», e le associazioni «Katiuscia» e «Makramé»; a Cremona, la Fondazione Fabio Moreni, voluta dalla mamma di Fabio e oggi presieduta dal bresciano Giancarlo Rovati. Non sono casi isolati: dopo il dramma del 29 maggio, Brescia divenne il centro dell'accoglienza e della solidarietà: vennero accolte circa 250 persone (Nadja Mujcic, giusto per citare un esempio, scappò da Srebrenica e venne accolta da Cevo, dove risiede tuttora). «C'era un gran fermento nell'aria, quasi una corsa alla solidarietà, che coinvolgeva moltissime realtà: la Camera del Lavoro, il Mir, i "Beati i costruttori di pace", l'Associazione dei Comuni Bresciani e tanti altri» ricordano Agostino Zanotti ed Eliana, sorella di Guido.La loro battaglia per la giustizia e la verità, condotta con il supporto dell'avvocato torinese Lorenzo Trucco, e appoggiata dall'allora sindaco Paolo Corsini e dalla solidarietà bresciana tutta, porterà, nel febbraio del 2001, alla condanna a 15 anni di carcere per crimini di guerra di Hanefija Prijic. Il processo ebbe luogo a Travnik ? «purtroppo, non in Italia» commenta Eliana Puletti ? alla presenza di un osservatore del Tribunale dell'Aja. «Fu un passo importante, perché riconoscere un crimine di guerra individuale equivaleva sia ad evitare ingiuste colpe pubbliche sia a segnalare il ruolo dei pacifisti» commenta Zanotti.È però un successo incompleto. «Non abbiamo mai saputo il movente del fatto ? spiega Eliana Puletti ? ma da allora ho cercato di dimenticare: il dolore era diventato troppo e ho preferito tornare a ricordare Guido come compagno di giochi d'infanzia».Domani partirà da Brescia un pullman con destinazione Zavidovici, organizzato dall'Associazione per l'Ambasciata della Democrazia Locale di Zavidovici (una delle tante realtà sorte dopo quel fatidico 29 maggio, che però vanta un riconoscimento sia italiano sia europeo). A bordo del pullman ci saranno non cinque, ma cinquanta persone: volontari, amici, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni (Roncadelle, per esempio, è gemellata con Zavidovici). Il viaggio avrà lo scopo di commemorare l'accaduto, sia rendendo manifesta la straordinaria rete di solidarietà sorta in questi anni tra Brescia, Cremona e Alba, sia riaccendendo i riflettori sulla vicenda e sulla ricerca del vero movente: il «perché» disperato lanciato quel giorno da Guido, deve ancora trovare una risposta.Delle attuali sorti di Paraga non si sa pressoché nulla. Dei 15 anni di carcere che gli spetterebbero, parte sono stati scontati in cella e parte agli arresti domiciliari: oggi ci sono buone probabilità che sia tornato a piede libero. Fabio e Sergio, «morti pregando il rosario», sono stati dichiarati «Martiri della Carità» dalla Chiesa cattolica. E la madre di Fabio, Franca, dal canto suo si è sentita di perdonare, attraverso una lettera, gli assassini del figlio.RIPRODUZIONE RISERVATA

Bonomo Manuel

Pagina 06 (14 maggio 2013) - Corriere della Sera